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Le streghe 

 

teatro "le streghe"

 

Il 24 luglio del 1976 il circolo “Musica e Cultura”, attraverso la sua componente femminile, presenta lo spettacolo teatrale “Le Streghe” del Gruppo Romano Teatro Femminista. Nello spiazzo antistante la scuola elementare “Tenente Anania”, in via Sacramento, si rappresenterà una piece teatrale semplice, con una scenografia povera, fatta di fili stesi dove appendere panni teatralmente lavati al fiume o che, diversamente appesi, simuleranno un bosco o faranno parte di un improvvisato tribunale medioevale dell’inquisizione. Il tema è quello della sottomissione della donna e rappresentato attraverso la metafora della caccia alle streghe. E’ la prima volta che la componente femminile partecipa attivamente alla preparazione di un evento preparando le tessere-biglietto (prezzo “politico” cioè simbolico, di qualche centinaio di lire, ma anche ad offerta libera o … gratis) preparando e distribuendo volantini e cercando un dialogo con le donne del paese che, a leggere dalle pagine del loro diario, non ci sarà. All’interno del gruppo delle ragazze nasce anche un dibattito tra chi avrebbe voluto gestire tutto lo spettacolo da sole, senza l’aiuto dei ragazzi (palco, luci, trasporti, autorizzazioni…) per dimostrare la loro capacità e autonomia, e chi invece ha ritenuto importante questo coinvolgimento maschile come momento di crescita comune. Di seguito una rara testimonianza di quell’evento, anzi unica, perché vista e raccontata da chi ha preparato e realizzato lo spettacolo.





 

 

Il testo seguente è stato riadattato dal testo originale “perché le Streghe” dalla rivista EFFE del novembre 1976 e visionabile sul sito: EFFE

 

 

perché “le streghe”.

cronaca del viaggio in Sicilia del Gruppo Romano di Teatro Femminista «Le Streghe».

novembre 1976.

delle streghe si è parlato parecchio nella seconda metà degli anni ‘70. Sappiamo che, nell’arco di alcuni secoli, ne furono mandate al rogo qualcosa come otto milioni. Con loro si voleva spegnere quel tessuto contadino ricco di un superstite paganesimo, che aveva la sua medicina e i suoi riti campestri, così poco controllabili dal potere cittadino e clericale. La repressione della chiesa, come sempre, colpì le donne con particolare insistenza, riversando su di esse teorie e torture indiscutibilmente sessuofobiche. Perché dunque le streghe? Il Gruppo Romano di Teatro Femminista è un gruppo unito dalla voglia di riconoscersi e non meno quella di giocare un gioco nuovo.

E’ un piccolo gruppo che discutendo fa le ore piccole ma che a volte ha solo voglia di una pizza, andare a spasso e divertirsi insieme. Ed è una scoperta perché piano piano il loro spazio, ritagliato nel loro tempo, si carica di nuovi affetti, gioia, complicità: uno spazio stregonesco, dove leggere e discutere con quella stessa complicità che avrà unito le streghe in un mondo che, allora come adesso non dà spazio all’allegria. E’ questa la ragione dello spettacolo “Le Streghe” che verrà portato in tour in Sicilia e da Castellammare a Palermo avrà le tappe finali a Terrasini e Cinisi.

Abitavamo a villa Fassini, presso Terrasini, ospiti, ma non è un termine giusto, perché ci sentivamo a casa nostra. Nella grande casa non c’era acqua e ci davamo grandi secchiate d’acqua dal pozzo — acqua fredda, brividi, risate —. Poi la sera si partiva sul pulmino verde con sopra uno scatolone enorme e un po’ scassato, con nastri colorati che scappavano fuori e sventolavano. E si andava a dire che la gioia esiste, che vivere è bello se distruggiamo in noi la paura della paura ed i suoi monumenti, che sognare e vivere è possibile.

Compagne che avete rabbia e voglia di vivere eravate con noi e non lo sapevate! In ogni nostra parola ai bambini e alle donne, in ogni esplosione di gioia e di meraviglia, nella prontezza dell’organizzazione, nei nostri corpi liberi e vivi c’era la forza della dimensione donna! — Io sono quella che sono — diceva Gemma e abbiamo cantato in Sicilia, nelle piazze di piccoli paesi patriarcali, abbiamo cantato dell’omosessualità, delle fughe dalle famiglie per amore di noi stesse, dei nostri corpi fonte di vita e di piacere, della nostra oppressione, della nostra ribellione.

Arrampicate sul pulmino, a stendere fili, a scaricare e ricaricare, ognuna responsabile e quindi libera, ognuna attenta all’altra e quindi libera, ognuna felice e quindi libera. Nessuno ha organizzato il nostro viaggio, qualche telefonata, il nostro desiderio di fare, di esprimerci, e il desiderio delle compagne siciliane di aggiungere un tassello alla loro attività, alla loro presenza, al desiderio di essere soggetti attivi ha aperto uno sprazzo di alternativa: partecipazione negli interessi, nei desideri, nella gioia. Ma ci pensate? Nessuna di noi attrice, ognuna di noi soffocata dall’alienazione di una realtà che non ci appartiene, che non ci dà spazio, che rifiutiamo, con il disagio profondo che ne deriva, op-là, abbiamo fatto il salto. Bambine di nuovo, sì, ma non più indifese, con una profonda coscienza, conoscenza e riconoscimento della diversità degli «altri», e di conseguenza, con una profonda coscienza di «noi» che finalmente è potuta venire fuori, trovare uno spazio e perfino socializzarsi! Sono stati solo dieci giorni, il futuro è incerto, il malessere riaffiora, ma adesso sappiamo che è possibile fare qualcosa! Avevamo sempre recitato al chiuso, relativamente sicuro dei teatrini romani, mica tanti, due tre, la parola d’ordine era: l’importante è esprimersi e stare bene tra noi, il pubblico reagisca come vuole. Poi la faccenda ha cominciato a starci un po’ stretta.

A Partinico la prima esperienza di piazza, a momenti affogavamo in un mare di gente, nella villa comunale, noi che avevamo rifiutato uno spazio rialzato e avevamo scelto di stare tra la gente.

A Palermo, Antonia e Peppina: ci hanno ospitato, ci hanno seguito per tutto il nostro soggiorno in Sicilia, hanno organizzato il volantinaggio per la propaganda allo spettacolo, e noi dietro a loro, alla SIAE, in questura. A piazza Marina eravamo tutti su un rialzo, noi e il pubblico. A Laura avevano scippato la borsa due ore prima: duecentomila lire di perdita complessiva. Tra noi c’era una tensione che rasentava l’isteria. Credo che alcune di noi vivessero il fatto come una punizione alla ribellione, alla provocazione, all’eversione.

A Castellammare sono riuscite a procurarsi una quantità incredibile di sedie di legno pieghevoli per gli spettatori, e avevano stampato perfino i biglietti con tanto di scritta «Le Streghe» in caratteri gotici! C’era un vento secco, forte, dopo tre ore di esposizione prima dello spettacolo io mi sentivo — avete presente quei gusci di lumaca vuoti secchi e quindi fragilissimi che si vedono in campagna? — ecco, così.

Poi lo spettacolo, qualche maschio stronzo che disturbava, noi ci guardavamo con muta reciproca interrogazione, perché c’era qualcosa. Ci sentivamo uno strano silenzio dentro e fuori, eppure oggettivamente tutto era normale. Chissà, Castellammare è un paese spinto dalle montagne alte e incombenti verso un mare enorme a centottanta gradi, il vento si incanala nelle gole il mare si increspa e in mezzo il paese e noi. Ho rivisto i nostri mostri, la mamma, il niente: i mostri vanno combattuti, guai a fuggirli.

A Terrasini c’era un uomo con noi, un grosso bambino calvo profondamente malato — quel profondo senso di solitudine incolmabile, quante di noi lo hanno provato, incapacità nostra o degli altri? dipendenza-solitudine, alternativa insuperabile. Nascosto per sua scelta e sua preoccupazione dietro un lenzuolo, lui che trova la sua unica autentica dimensione aggrappato ad urlare e/o piangere e/o lenire il suo dolore aggrappato ad una chitarra. È stato bene con noi, solo per due giorni: sentiva che ci volevamo bene mi ha detto, perché sentiva insieme solidarietà, gioia e vitalità.

A Cinisi è stato l’ultimo spettacolo siciliano. In quel paese a 40 km da Palermo, dove, oltre a un gruppo di compagne in gamba, esiste un gruppo di ragazzi che fanno autocoscienza. Erano infatti stranamente non aggressivi nei nostri confronti, a differenza degli altri compagnucci che ci avevano prese per ricche nababbe un po’ matte, in gita di piacere per la Sicilia. E invece di soldi ne avevamo pochini; lo scippo di Laura e il pulmino fuso al ritorno ci hanno dato un bel colpo. «Gli dei patriarcali all’attacco» dice Gemma, ma noi nonostante tutto avevamo sempre una grande gioia dentro e mangiavamo e ridevamo. A Cinisi è andato tutto bene: avevamo perfino le luci! Abbiamo distribuito qualche tamburello alle ragazze che erano venute a vederci: «Per favore, suonate durante il sabba, il nostro registratore non funziona». Era vero, ma per l’occasione scoprivamo la gioia di far partecipare la gente, le compagne, un desiderio che abbiamo sempre ma che non vogliamo teorizzare né imporre. C’è stata qualche perplessità iniziale, un po’ di timidezza, ma al sabba abbiamo avuto molta musica, proprio una sarabanda.

E’ uno spettacolo semplice: racconta dei dialoghi delle donne al fiume, fatti di fiato e non di comunicazione. Racconta l’ansia di libertà e l’inquietudine che pian piano spinge le donne fuori dal villaggio, a notturni incontri nel bosco, dove chi non è strega lo diventa ben presto, imparando a curarsi e insieme ad amarsi. Coi processi, la ricostruzione fantastica cede il posto alla storia. Ai grotteschi magistrati le donne oppongono a volte ingenuità e paura, a volte invece una coscienza incrollabile: «Voi non avete più potere su di me, perché io sono quella che sono». Scene, costumi, dialoghi, improvvisazioni, regia, musica, grane e contentezza sono lavoro di gruppo.

Alla gente lo spettacolo è piaciuto: alla fine qualcuno è venuto a salutarci, si sono formati capannelli di discussione, ed è stato questo soprattutto che ci ha dato più soddisfazione. «Ma comu, già finiu?» è stata la critica più bella che ci è stata fatta da una donna anziana. Abbiamo sentito una donna ripetere più volte di seguito: «Millenni di cultura basati su una ridicola appendice», in dialetto che qui non sappiamo riprodurre.

E le compagne siciliane, belle, belle, belle, brave, con un’energia, un entusiasmo, una voglia di fare incredibili. 



 

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